“Adelchi” di Alessandro Manzoni: riassunto

L’idea di una nuova tragedia, più profondamente radicata in un tessuto storico, dovette nascere in relazione al soggiorno parigino di Manzoni (1819-20) e alle conversazioni con Fauriel e Thierry. Il tema della tragedia matura contemporaneamente allo studio della storia medievale e alla composizione del Discorso al quale l’Adelchi è strettamente unito. Accompagnata dalle «Notizie storiche» venne pubblicata nel 1822 e rappresentata per la prima volta a Torino nel 1843. Il testo definitivo, che tuttavia non presenta differenze rilevanti, è del 1845.

Nelle scelte di struttura Manzoni si muove nella direzione già intrapresa col Carmagnola, ma riesce a trovare soluzioni più efficaci. Intanto il periodo e l’ambientazione storica offrono più immediati motivi di meditazione: la sorte di un popolo che da conquistatore diventa oppresso, la violenza e la guerra come motore dello sviluppo della storia. Su questo sfondo il personaggio emblematico vive la sua esemplare vicenda; ma in questa seconda tragedia, Manzoni moltiplica la figura dell’eroe e se Adelchi è sicuramente il protagonista intorno al quale si incentra l’opera, assumono un forte rilievo anche i personaggi di Desiderio e soprattutto di Ermengarda, l’altra vittima della storia.

Come il Carmagnola anche Adelchi è un testo poco teatrale; l’interesse dell’autore, tutto rivolto a sollecitare la riflessione, crea uno sviluppo più dell’introspezione; dell’analisi e della conoscenza che non dell’azione. Nemmeno l’assunzione della tecnica del monologo, presa probabilmente da Shakespeare, né la trasformazione dell’introspezione in dialogo, come nei passi che mettono in scena Adelchi e Anfrido, valgono a conferire efficacia teatrale alla tragedia. D’altra parte la ricerca anche linguistica di Manzoni si indirizza nell’Adelchi verso la messa a punto di un linguaggio della meditazione che trasmette più facilmente la sua profondità alla lettura che non alla recitazione.

Riassunto

La vicenda si colloca negli anni 772-74, quando Carlo Magno scese con l’esercito in Italia, chiamato dal papa Adriano, per combattere contro Desiderio, re dei longobardi, che aveva invaso i territori della Chiesa.

La tragedia si apre con l’annuncio, portato alla reggia longobarda di Pavia, del ritorno di Ermengarda, figlia di Desiderio, già sposa di Carlo e da lui ripudiata. Desiderio, spinto anche dall’intenzione di vendicarsi dell’offesa fatta da Carlo alla figlia, progetta di costringere il Papa a incoronare re dei franchi i figli di Gerberga, moglie di Carlomanno, fratello di Carlo, che sì era rifugiata presso i longobardi. Adelchi non approva il progetto del padre perché considera ingiusto portare guerra al Papa e perché giudica il nemico superiore di forze e inoltre dubita della fedeltà dei duchi longobardi.

L’arrivo di Ermengarda è accolto con sentimenti diversi dal padre e dal fratello; quest’ultimo infatti è più sensibile al dolore della sorella che all’offesa ricevuta. Arriva un messaggero di Carlo che intima a Desiderio di ritirarsi dalle terre del Papa; al rifiuto opposto, Carlo dichiara guerra ai longobardi. Molti duchi, vedendo in pericolo il regno di Desiderio, pensano di tradirlo e di avviare trattative segrete con Carlo; per concertare il tradimento si riuniscono in casa di Svarto, un soldato ambizioso, assetato di potere e di gloria.

Il secondo atto sposta l’azione nel campo dei franchi in val di Susa; qui è fermo Carlo con il suo esercito, gravemente ostacolato nella sua discesa in Italia da un complesso di fortificazioni naturali, le Chiuse. Proprio quando il re franco sembra voler desistere dall’impresa, giunge il diacono di Ravenna Martino, che riferisce di aver trovato una strada per aggirare le Chiuse e giungere inaspettati all’accampamento longobardo. Il racconto che il diacono Martino fa del suo viaggio è un lungo monologo in cui il personaggio presenta il suo cammino fino ai franchi come un’impresa del tutto eccezionale, voluta da Dio.

Nell’accampamento longobardo (atto terzo) mentre Adelchi confida all’amico Anfrido l’infelicità del suo destino che lo costringe ad imprese lontane dai suoi ideali, giunge la notizia dell’attacco dei franchi. I longobardi vengono messi in fuga mentre i duchi traditori passano dalla parte di Carlo. Desiderio ed Adelchi si ritirano, il primo a Pavia, l’altro a Verona. Anfrido muore nella battaglia. L’atto si conclude col coro «Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti».

L’atto quarto sposta l’azione nel monastero di S. Salvatore, a Brescia, dove si è rifugiata Ermengarda che sta morendo, confortata dalla sorella e badessa Ansberga. La prima scena è tutta occupata dal delirio di Ermengarda che non ha retto alla notizia delle nuove nozze di Carlo con Ildegarde. Subito dopo è posto il coro «Sparsa le trecce morbide». Le altre scene si svolgono a Pavia dove Guntigi, che ha il compito della guardia delle mura, si accorda con Svarto per fare entrare a tradimento l’esercito di Carlo.

Pavia deve così arrendersi (atto quinto) mentre a Verona Adelchi tenta con pochi fedeli una difesa estrema; nell’impresa è ferito a morte. Carlo acconsente ad un ultimo incontro tra il figlio morente e il padre prigioniero dei franchi.

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