“Addio alle armi” di Ernest Hemingway: riassunto trama

Addio alle armi, Ernest Hemingway, riassuntoAddio alle armi
di Ernest Hemingway

«È nel destino degli americani vivere i momenti più esaltanti e insieme più critici della loro vita in conflitti combattuti in altri paesi. E forse è per questo che il capolavoro di Hemingway parla della Grande guerra, il teatro di Addio alle armi, e il protagonista – come era accaduto allo scrittore – è un tenente americano aggregato all’esercito italiano come addetto alle ambulanze. È il 1916, il fronte conosce poche variazioni, le battaglie si susseguono senza che si possa prevedere la conclusione del conflitto. Henry, il protagonista, si innamora di un’infermiera inglese, Catherine, e i primi capitoli del libro sono la storia dell’inizio di questo amore.

Durante un bombardamento Henry viene ferito; è ricoverato a Milano per essere operato, e lì Catherine lo raggiunge. Il ricovero e la convalescenza sono per i due giovani un periodo di idillio e di felicità. Henry guarisce, ma deve tornare al fronte; Catherine gli rivela di essere incinta.

Al fronte gli italiani sono in difficoltà e, a un certo punto, gli austriaci rompono le linee. È la disfatta di Caporetto. L’esercito italiano ripiega disordinatamente, e anche Henry, tra mille incidenti e avventure, riesce a raggiungere il Tagliamento. Qui ci sono dei carabinieri che fucilano senza processo gli ufficiali che hanno perso contatto col loro reggimento, considerati colpevoli di tradimento. Di fronte al rischio di essere ucciso soltanto perché si devono trovare dei capri espiatori per la disfatta, Henry si getta nel fiume. È la fuga, la diserzione. Dopo un viaggio rocambolesco ritrova Catherine a Stresa, sul Lago Maggiore; ma qualcuno lo riconosce e lo denuncia, e poco prima che Henry venga arrestato i due passano il confine, dopo una avventurosa traversata notturna su una barca a remi, per rifugiarsi in Svizzera. La storia però non finisce bene: il bambino nasce morto e Catherine muore per un’emorragia.

La fortuna di Addio alle armi è dovuta a tre elementi, diversi ma altrettanto significativi, che lo rendono un libro importante e complesso: uno è la lingua, lo stile convulso di Hemingway; l’altro la travolgente storia d’amore che lega i protagonisti; il terzo è la descrizione delle brutalità della guerra e dell’orrore delle fucilazioni sommarie dopo Caporetto.

I dialoghi sono la parte più originale del tratto hemingwayano: ora tumultuosi, quando ci riportano alle battaglie e alla violenza del clima bellico, ora pacati, al limite del banale, quando devono farci galleggiare nella quotidianità, negli incontri, anche casuali, che fa il protagonista. Ma ci sono parti descrittive, momenti di riflessione, ellissi improvvise organizzate in una scrittura sussultoria, che cambia spesso registro. È uno stile modernissimo, per certi versi ancora oggi insuperato.

Le storie d’amore tendono a essere un po’ tutte uguali, ma certo quella di Addio alle armi ha la caratteristica di non avere un solo momento di sdolcinatezza, un solo elemento di caramellosità. È un momento di travolgente passione, di tenero sentimento, di vitalità fisica che non ha bisogno di aggettivi né di esaltazioni.

Ma la parte più tragica e brutale è quella con cui Hemingway descrive l’arroganza imbecille degli stati maggiori, che rovesciano sulla truppa e sugli ufficiali subalterni la responsabilità di una disfatta che è frutto di cattiva strategia e di una insensata stasi nella guerra di posizione. La figura del re che passa in automobile senza avere contezza del disastro, i generali che mandano le truppa al macello, le fucilazioni ingiustificate – quasi una vendetta nei confronti di chi si è permesso di sopravvivere alla ritirata – sono un terribile atto d’accusa non solo nei confronti dei comandi italiani, ma del senso ultimo di tutte le guerre, ovunque siano state combattute.»

tratto da I cento libri che rendono più ricca la nostra vita di Piero Dorfles, Garzanti

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