“Acrobati del presente. La vita quotidiana alla prova del lockdown” a cura di Paola Rebughini ed Enzo Colombo

Prof.ssa Paola Rebughini, Lei ha curato con Enzo Colombo l’edizione del libro Acrobati del presente. La vita quotidiana alla prova del lockdown pubblicato da Carocci: quali implicazioni hanno avuto – e continuano ad avere – le misure di contenimento della pandemia sulle relazioni sociali quotidiane?
Acrobati del presente. La vita quotidiana alla prova del lockdown, Paola Rebughini, Enzo ColomboL’irrompere del Covid-19 si è configurato come un momento di rottura del tempo quotidiano e come un inedito dramma storico collettivo. Un anno, ad oggi, di esperienze intermittenti, radicali o parziali, di lockdown comporta indubbiamente implicazioni sociali sostanziali di cui saremo in grado di misurare le vere conseguenze solo dopo che questa emergenza sarà terminata, o almeno ridimensionata, in quanto smart working, precarizzazione o perdita del lavoro, chiusura delle scuole, limitazioni della vita sociale e reclusione domestica lasceranno conseguenze di tipo strutturale, oltre che psicologiche e relazionali. Tuttavia alcune problematiche sono state fin dall’inizio evidenti. Innanzitutto la condizione virale nella quale viviamo non è una condizione paritaria – nonostante la comune esposizione biologica al virus – e non siamo affatto tutti nella stessa barca, o quanto meno questa barca ha diverse classi e condizioni di navigazione. Anche rispetto alle politiche del lockdown le disuguaglianze sono evidenti a più livelli, tra Stati e all’interno degli Stati, per condizione economica e sociale, esposizione al virus, luogo di residenza, per non parlare della questione dell’accesso alle cure e ai vaccini, ma anche all’età e condizione di salute, inoltre alcune categorie professionali sono molto più esposte di altre alle conseguenze del rallentamento della produzione, dei consumi e dei flussi commerciali mentre alcuni settori si sono al contrario avvantaggiati della situazione. Il lockdown e il distanziamento sociale hanno inoltre ridimensionato o inibito quegli spazi sociali di compensazione che prima potevano mitigare queste disparità, come le forme di solidarietà, di partecipazione o di mobilitazione.

Per questo nel titolo abbiamo voluto focalizzare l’attenzione sul tema del presente, in quanto uno dei tratti principali dell’esperienza del lockdown e della condizione virale ci è sembrata proprio la necessità di accrescere l’abitudine a far fronte al presente, al valorizzare il qui e ora, ovvero il quotidiano in una situazione di incertezza ancora più acuta di quella a cui ci eravamo abituati. Più in generale nel libro ci soffermiamo sul come l’osservazione della vita quotidiana durante il lockdown fa emergere narrazioni non solo riferite allo sconvolgimento delle routine e del dato per scontato, ma anche alle preoccupazioni sul futuro di beni comuni come l’ambiente.

Quali rappresentazioni hanno dato le persone delle loro esperienze durante il primo lockdown?
Dalle narrazioni raccolte in questo libro emerge innanzitutto la presenza di una divaricazione tra, da un lato, la paura della malattia e del contagio, quindi il sostegno alla necessità di preservare la vita delle persone, anche attraverso misure drastiche come il lockdown, e dall’altro lato la paura della crisi economica, la perdita del lavoro o della possibilità di avere accesso a un sistema di consumi consolidato. Si tratta di una divaricazione sistemica ma che attraversa anche la vita quotidiana dei singoli individui. Dal punto di vista sanitario si era perduta la memoria dei pericoli rappresentati dalle pandemie, nonostante le ripetute avvisaglie relative agli spillover virali della Sars o delle cosiddette influenze aviaria e suina. L’ansia causata dal virus è stata quindi molto forte e soprattutto nel primo lockdown della primavera del 2020 la rappresentazione della casa come luogo riparato dove è possibile decentralizzare molteplici funzioni dal lavoro, all’istruzione, allo svago è stata prevalente. L’esperienza del lockdown ha rappresentato appunto un momento di sostanziale rottura e di sovversione di routine, esperienze e relazioni che consentivano di dare significato, condiviso e non eccessivamente problematico, alla vita e alla realtà. Nei mesi successivi invece le preoccupazioni economiche sono diventate sempre più importanti, così come l’insofferenza verso le chiusure dei luoghi abituali di svago come i negozi o i ristoranti. Se nei primi mesi del lockdown ci si è posti criticamente il problema di che cosa fosse la normalità perduta e quindi complessivamente vi è stato un momento di forte riflessività collettiva, nei mesi successivi invece la richiesta di un ritorno alla normalità, senza particolari interrogativi, è stato preminente. Nel complesso tuttavia le varie tipologie di lockdown hanno suscitato una riflessione sul tema della qualità della vita e della dignità personale nella loro trasversalità rispetto alla salute, al lavoro e alla vita quotidiana.

In che modo il lockdown ha trasformato le relazioni intime?
Il lockdown ha sicuramente messo a dura prova le relazioni famigliari e affettive. La convivenza forzata in spazi domestici talvolta molto ridotti, soprattutto nei mesi del lockdown rigido quando non ci si poteva praticamente allontanare da casa, ha aumentato notevolmente la conflittualità interna alle famiglie, lo stress e i momenti di tensione. La penalizzazione per le donne è stata la più evidente visto che le madri lavoratrici sono state quelle più spesso obbligate a occuparsi improvvisamente di figli piccoli rimasti a casa da scuola o dell’asilo. Le donne inoltre sono la categoria che più spesso è stata coinvolta in licenziamenti o sospensioni del lavoro e quindi si è trovata a maggior ragione nella condizione di dover assumere ruoli di accudimento. Il capitolo di ricerca di Lidia Manzo, che si occupa delle coppie, mostra le dinamiche quotidiane di famiglie, soprattutto giovani, che si sono trovate in situazioni domestiche caotiche, con figli piccoli da intrattenere, difficoltà a gestire lo smart working, meno intimità e più occasioni di tensione con il partner e in qualche caso anche meno soldi a causa della perdita del lavoro di uno dei due. Il lockdown è insomma diventato un’interminabile domenica di pioggia. Inoltre se le coppie e le famiglie intrappolate in casa hanno sofferto di un’eccessiva presenza dell’altro e della mancanza di spazi personali, per le coppie che si sono trovate separate dal lockdown l’operazione di raffreddamento dei sentimenti è stata la reazione emotiva più comune per poter far fronte all’imposizione dell’isolamento.

Come è mutato il rapporto con il tempo e con lo spazio?
Il tempo e lo spazio sono le due categorie fondamentali su cui poggia la stabilità di quella che in sociologia viene definita come la sicurezza ontologica, ovvero quella base di sicurezza esistenziale legata a ciò che diamo per scontato, che non dobbiamo mettere in dubbio prima di agire o di fidarci di determinati saperi esperti, tecnologie o pratiche istituzionali. Il Covid-19 e il lockdown hanno quindi portato profonde e improvvise trasformazioni della nostra mappa spazio-temporale.

In particolare il tempo del quotidiano non è stato soltanto sconvolto ma si è anche improvvisamente dilatato, presentificato. Pertanto l’emergenza creata dalla pandemia ha imposto a tutti, sebbene con modalità e intensità diverse, l’esercizio acrobatico di imparare a gestire questa dilatazione del presente nel microcosmo quotidiano, contornato da un’impennata di incertezza e dall’impossibilità di pianificare l’immediato futuro. Anche lo spazio, che sembrava prima della crisi strutturarsi su dimensioni planetarie, rendendo possibile – almeno nell’immaginazione – movimenti e relazioni non limitate dalla logica della prossimità, è stato bruscamente ridotto alla dimensione del domestico e dell’iper-locale.

Si calcola che a inizio aprile 2020 circa due miliardi di persone nel mondo erano confinate nelle loro abitazioni, impossibilitate non solo a viaggiare ma anche a spostarsi nel loro quartiere. D’altra parte il virus ha spalancato un orizzonte di finitudine reso prima invisibile dalla velocità della vita quotidiana, ridando concretezza collettiva alla malattia e alla morte ma anche alla fragilità del pianeta e delle sue risorse.

Quali ripercussioni ha avuto il lockdown sul modo di insegnare e di lavorare?
Oltre alle donne, i giovani e gli studenti sono state le categorie più colpite dalle conseguenze del lockdown, come mostrano i capitoli di Enzo Colombo e di Angela Biscaldi. La limitazione della mobilità e la reclusione domestica costituiscono indubbiamente un sacrificio significativo per adolescenti e giovani adulti; è stato loro chiesto di modificare radicalmente e repentinamente il loro stile di vita, di adattarsi alla didattica a distanza, di rinunciare alla loro vita sociale, di rimanere in casa e di rispettare un rigido distanziamento spaziale. Una richiesta che non è andata di pari passo con l’ascolto e il coinvolgimento dei giovani, o il riconoscimento degli sforzi che stavano facendo per adattarsi e proteggere le persone più vulnerabili come i nonni. In sostanza, anche nel caso delle politiche sulla scuola, i più giovani non sono stati coinvolti in decisioni cha hanno conseguenze notevoli e durature sulle loro vite. Mentre si è molto discusso dell’impatto del lockdown sulla vita economica, la voce dei giovani è rimasta sullo sfondo, oppure quando sono stati oggetto dell’attenzione dei media sono stati rappresentati prevalentemente come indisciplinati, irrequieti, irresponsabili. La didattica a distanza ha inoltre prodotto una nuova forma di disciplinamento dei corpi e della comunicazione, un disciplinamento non più legato al controllo del docente ma a quello della tecnologia. Gli effetti sembrano essere ambivalenti: da un lato la scuola è uscita dal suo spazio neutro e separato e si è avvicinata alle famiglie potendo mettere in evidenza il suo ruolo, dall’altro lato, questa improvvisa intimità tra casa e conoscenza ha creato problemi di autorevolezza.

Il capitolo di Alessandro Gandini sul lavoro digitale mostra problemi analoghi. Per un’ampia porzione di lavoratori dipendenti l’esperienza del lavoro a distanza ha rappresentato una novità assoluta, con vantaggi e svantaggi molto variabili da caso a caso. Da eccezionale o temporanea questa condizione è stata vista sempre più come il “nuovo normale” del lavoro e un’occasione per riflettere sulla più ampia questione del processo di transizione a una “società digitale”. Anche in questo caso si è posto il problema delle disuguaglianze legate alla differenza tra diversi gruppi di lavoratori: chi può lavorare a distanza e chi non può lavorare a distanza; chi lavora a distanza godendo di tutele sociali e chi lavora a distanza senza tutele; chi è più preservato rispetto al rischio sanitario, e chi è più esposto al contagio.

Quale narrazione della crisi ambientale si è sviluppata durante la pandemia?
Nel libro abbiamo voluto affrontare anche il tema della crisi ambientale, emerso in modo intermittente soprattutto nel primo lockdown della primavera 2020 e purtroppo poi un po’ perso di vista nei mesi successivi. Questa parte del libro, scritta da me, cerca di capire che cosa la pandemia ci svela rispetto alle nostre sempre più degradate relazioni con la natura, allo stretto legame esistente tra rischi per la salute e un sistema produttivo e di consumo basato sull’estrazione a oltranza di ogni risorsa naturale, ovvero sul paradigma della crescita infinita. In quanto evento catastrofico il Covid-19 appare infatti come un prodotto socio-naturale, un’intersezione di natura e cultura, di condizioni di vulnerabilità e di rischio contemporaneamente biologiche e sociali.

Soprattutto nelle prime fasi del lockdown, scienziati e divulgatori che lavorano su questi temi hanno avuto più spazio nei media ed è cresciuto l’interesse verso le ricerche che indagano le conseguenze anche sanitarie dello sconvolgimento degli ecosistemi. Tuttavia nel nostro paese non è stata portata avanti una riflessione sistematica e l’attenzione verso questi temi appare discontinua; l’analisi del Covid-19 come fenomeno collegato alle questioni ecologiche è rimasta limitata a una relativamente ristretta cerchia di dibattito, rappresentata da chi già aveva sviluppato una sensibilità verso queste problematiche. Nel testo analizzo soprattutto la stampa e alcune tipologie di blog legate a questa discussione, da dove si può notare che articoli e commenti tendono a partire dalle loro posizioni precedenti alla pandemia, inglobando questo nuovo dato in un frame di interpretazione di senso già precostituito. Tuttavia, oltre a riflessioni generali sulla crisi ambientale e a informazioni su possibili buone pratiche, emergono anche temi relativamente nuovi come la necessità di ripensare il rapporto dicotomico tra natura e cultura cogliendo che cosa le nuove e ripetute generazioni di virus e di infezioni ci stanno dicendo riguardo a noi stessi e alla nostra azione presente e passata su questo pianeta. La specificità di questo sguardo è quello di accettare la sfida che ci pone un tempo caratterizzato dalla tecnoscienza e dall’orizzonte della catastrofe ambientale. D’altra parte gli ecosistemi e gli oggetti tecnici sono parte di un meccanismo complesso e globalizzato, ad esempio la tecnologia digitale non è solo protagonista di un processo di smaterializzazione del lavoro e delle relazioni – ben evidenziato dal lockdown – ma anche un elemento a forte impatto ambientale, basti pensare a tutto ciò che ruota intorno all’estrazione di minerali come il litio o le terre rare.

Il lockdown è destinato a rimanere una parentesi senza conseguenze?
Probabilmente in molti lo sperano ma non sarà così, qualunque fenomeno con impatto sistemico – e il Covid-19 sicuramente lo è – produce conseguenze a catena di tipo strutturale e duraturo senza contare che anche a livello simbolico e di immaginario collettivo la pandemia rappresenta un punto di svolta. Se da un lato sembrerebbe che l’eccezionalità del confinamento da coronavirus abbia potenziato le ansie preesistenti di chi già era sensibile ai temi dell’ecologia o delle trasformazioni del lavoro e dei sistemi produttivi, senza necessariamente spaventare chi invece, a torto o a ragione, si sente al riparo dei cambiamenti, dall’altro sono molti i segnali che ci fanno pensare che su temi eterogenei come medicina e saperi esperti, organizzazione del lavoro, metodi di insegnamento, rapporti internazionali e geopolitici, ci saranno accelerazioni significative di trasformazioni già in atto. Senz’altro l’impatto della pandemia e le esperienze dei ripetuti lockdown sembrano aver bisogno di tempo per lasciare sedimentare le riflessioni sulle molteplici conseguenze e sulle lezioni apprese rispetto a quanto accaduto. Tuttavia appare probabile che lo scenario post-Covid rinforzerà diffidenze e ambivalenze verso i saperi esperti e tecnocratici, l’ansia verso l’anticipazione di rischi sempre più imminenti e la ricerca di risposte comprensibili davanti a concatenazioni di eventi globalizzati sempre più complessi.

Paola Rebughini insegna Globalization and cultural diversity, Contemporary social theory e Culture della comunicazione all’Università degli Studi di Milano. Tra le sue pubblicazioni: Youth and the Politics of the Present (a cura di, con E. Colombo; London 2019); In un mondo pluralista. Grammatiche dell’interculturalità (Torino, 2014); Children of Immigrant in a Globalized World (con E. Colombo; London 2012).

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