
Poi, le prime comunità umane divennero sedentarie circa 10,000 anni fa. Da allora, il nostro rapporto con i fenomeni idrici si è evoluto in maniera dialettica. I nostri sforzi per gestire la forza della natura, cercando di stare fermi in un mondo di acqua che si muove, ci hanno costretti ad esercitare un’agenzia collettiva, a trasformare il territorio in funzione delle nostre esigenze, invece di accettare le condizioni al contorno che ci vengono date. L’acqua trasforma la nostra casa, e noi, di tutta risposta, la cambiamo ulteriormente per tentare di resistere alla forze del clima. Così facendo cambiamo il modo in cui l’acqua stessa interagisce con il territorio, cambiando il punto di partenza della nostra relazione con esso, e iniziando un nuovo ciclo nel nostro dialogo con l’acqua. Questo rapporto dialettico ha avuto un ruolo importantissimo nel plasmare le istituzioni che organizzano la vita umana sul paesaggio.
In che modo il rapporto dialettico tra il paesaggio dell’acqua e la società umana, dal Neolitico all’antichità classica, hanno contribuito a plasmare l’idea di stato?
Avere uno stato non è una caratteristica necessaria delle società umane. Ci sono tante società che storicamente non hanno avuto un’organizzazione dello stato come l’abbiamo oggi, cioè un’architettura istituzionale che possa esercitare legittimamente la propria forza e autorità sul territorio, che coordini risorse collettive, e che eserciti potere. Ma poiché la stragrande maggioranza delle società moderne sono organizzate in stati, e poiché sono gli stati ad avere la responsabilità finale della gestione del territorio come atto di sovranità, se vogliamo capire che impatto i cambiamenti climatici avranno sui nostri territori, dobbiamo capire quale relazione lo stato ha con la forza del clima.
E in questo, la storia che parte nel neolitico e arriva all’antichità classica ha un ruolo fondamentale. In particolare le esperienze dell’antichità classica Greca – la costituzione di Sparta, le riforme di Solone e Clistene ad Atene – e della Roma repubblicana giocano un ruolo fondamentale nella modernità, poiché forniscono gli archetipi che da Machiavelli in poi hanno formato il repubblicanesimo moderno.
Quando si guarda alla storia di quel periodo ci si rende conto che la relazione tra economia agraria e struttura politica era assai stretta. E l’economia agraria era fondamentalmente plasmata dalla distribuzione delle precipitazioni, legando quindi la distribuzione del potere politico nella società alla distribuzione geografica dell’acqua. È importante notare che questo non è un rapporto deterministico. Non è che l’acqua determina chi ha potere. Le persone possiedono agenzia sulla propria vita. Ma è indubbio che le condizioni materiali influiscano sulla traiettoria delle istituzioni.
Quando i Romani vollero assicurare una fornitura costante di cereali a Roma, non costruirono grandi infrastrutture irrigue per modificare la produttività del territorio del Lazio – cosa che comunque non avrebbe prodotto sufficienti cereali per sfamare la città più grande dell’antichità mediterranea – ma si avvalsero di una sofisticato sistema di commercio attraverso tutto il Mediterraneo, che permise loro di bilanciare eventuali cadute di produzione da una parte con aumenti da un altra. Questo legò la piovosità di varie parti del mediterraneo, dalla Spagna alla Turchia, con il potere associato alla ricchezza commerciale che si occupava di spostare grano verso Roma, con la struttura senatoriale che governò lo stato romano per secoli. Questo è un esempio di come questo rapporto dialettico tra acqua e società ha potuto plasmare le istituzioni.
Come l’antichità fu metabolizzata, da parte delle nazioni europee, nello stato moderno?
Il passaggio è ovviamente complesso. La ricostruzione delle idee classiche passa per l’umanesimo e il rinascimento italiano, ma anche per il rapporto di quest’ultimo con i mondi bizantino e arabo. La cosa interessante è l’uso che le società del tardo medioevo fecero della riscoperta dell’antichità classica.
Per esempio, quando il codice giustinianeo riemerse dall’oscurità nell’undicesimo secolo, introdusse nella società medievale un sistema legale di una lucidità e sistematicità fino ad allora sconosciuta. Ma è come questo fu poi applicato in pratica che ne determinò la metabolizzazione, che poi ha raggiunto anche noi.
Faccio un esempio. Nell’Italia dei comuni, le dispute territoriali erano problema frequente. E le dispute territoriali, sopratutto nell’Italia dell’Arno e del Po, erano dispute che spesso coinvolgevano i fiumi e le loro risorse. Chi avesse diritto a usare certi porti per esempio, o di tassare il commercio. Chi avesse accesso a pesca o altre risorse dell’economia palustre. La tradizione longobarda e quella carolingia non avevano lasciato un sistema di regole particolarmente dettagliato per risolvere questo tipo di contenzioso.
Così, quando la legge romana riapparse, fu subito applicata per generare giurisprudenza su questo tipo di dispute. Quella giurisprudenza, e il lavoro di tanti glossatori – primo fra tutti va ricordato Bartolo da Sassoferrato nel trecento – finirono per ricreare un sistema legale che, in termini di questioni idriche, ha raggiunto anche noi. Nel libro parlo a lungo dell’esperienza della Magna Carta, dei trattati di Westphalia, e della costituzione Americana, tutti documenti fondativi per la nostra cultura, ma che contengono materiale genetico creato nell’uso di istituzioni antiche come il Codex Iuris Civilis. Un simile discorso si può fare sulle istituzioni repubblicane o su istituzioni finanziarie che nascono dalla metabolizzazione di pratiche antiche. La storia dell’acqua rivela corsi che senza soluzione di continuità connettono il mondo antico con i nostri giorni.
In che modo il potere dello stato moderno e la forza del capitalismo industriale hanno condotto alla più radicale trasformazione del paesaggio della storia?
All’inizio del ventesimo secolo, l’umanità non era in grado di raccogliere quasi nulla di ciò che cadeva dal cielo. La pioggia alimentava fiume che venivano canalizzati, ma raramente incontravano grandi invasi che permettessero lo stoccaggio delle acque per anni. Di fatto fino al 1900 l’umanità tutta si trovava a dover gestire la variabilità dell’acqua determinata dal ciclo idrologico del pianeta. All’inizio del ventesimo secolo, la diga più grande del mondo era la diga bassa di Assuan, sul Nilo. Costruita dai britannici durante il periodo in cui l’Egitto era un protettorato del loro impero. La diga aveva una limitatissima capacità di stoccaggio.
Poi le cose cambiarono. Durante i successivi 70 anni, a partire dall’America e dalle Alpi, la costruzione di dighe accelerò, al punto che verso la fine degli anni 70, l’umanità era arrivata a raccogliere un quinto di tutta l’acqua che veniva giù dal cielo e scorreva nei fiumi. Una sostanziale trasformazione del mondo. Come se gli umani avessero deciso di rinnovare l’idraulica del pianeta.
Questa trasformazione è stata complessa e molto consequenziale. Nel libro esploro in maniera dettagliata come sia successa. Qui possiamo semplicemente citare due processi importanti, che ebbero lo stato e il capitalismo come protagonisti. Lo stato moderno si trasformò nella prima metà del ventesimo secolo, da quello di tradizione imperiale e liberale dell’ottocento – sostanzialmente uno stato regolatore con un peso economico minimo – allo stato moderno con un peso economico che corrisponde a circa un terzo dell’economia di ogni paese. Questo fu accompagnato da una enorme capacità finanziaria, che fu messa a disposizione della ingegnerizzazione del territorio in funzione dello sviluppo economico.
Il capitalismo ha avuto anch’esso un ruolo importante, poiché la seconda rivoluzione industriale – l’industrializzazione che ha portato ai beni di consumo di massa per intenderci – è stata anche una rivoluzione energetica. I fiumi del mondo ne sono stati protagonisti. Fino alla metà del ventesimo secolo l’unica tecnologica per la generazione elettrica che fosse scalabile era l’idroelettrico. E poiché non ci furono cavi di trasmissione ad alto voltaggio fino a dopo la Seconda guerra mondiale, i fiumi rappresentarono la piattaforma di sviluppo industriale del mondo. Questo si è visto anche in Italia con l’Adda o il Piave.
Queste due forze quindi, lo stato come agente economico e finanziario moderno e l’industrializzazione della produzione di beni di consumo, hanno giocato un ruolo centrale nella trasformazione più radicale della storia del territorio umano.
Perché è possibile affermare che, nonostante la nostra società si creda separata dalla natura, l’acqua rappresenta un agente forte come sempre?
I cambiamenti climatici in corso stanno frantumando l’illusione di controllo che ha dominato il ventesimo secolo. Tutte le infrastrutture, le dighe, i canali, gli argini che abbiamo costruito nel corso del secolo avevano la funzione di separarci dalla variabilità della natura, di relegare l’acqua ad essere semplicemente parte della scenografia della nostra vita, per permetterci di vivere al solo ritmo dell’industrializzazione.
Ma tutte quelle infrastrutture furono dimensionate sulla variabilità storica, quella della quale abbiamo avuto esperienza fino ad ora. Ciò che ci attende è una variabilità diversa. Alluvioni più frequenti, siccità più lunghe riveleranno che quella separazione artificiale era un’illusione. L’acqua è un agente potentissimo. I cicli energetici che la interessano sulla Terra sono ordini di grandezza più grandi dell’economia umana. Per un secolo ci eravamo illusi di aver raggiunto un’immutabile stabilità. Ma l’elefante assopito dietro la porta si è svegliato.
Ci aspetta un futuro complesso, nel quale dobbiamo riconoscere la portata dei problemi che abbiamo di fronte. La soluzione a questi problemi va al cuore del problema di gestire il territorio di una nazione, e non può più essere delegato solo a ingegneri e tecnocrati. Richiede una discussione politica che permetta ai cittadini di assorbire ciò che sta succedendo e di articolare le loro preferenze per il futuro. Anche per questo, ho scritto il libro Acqua: Una biografia.
Giulio Boccaletti è saggista, ed esperto di sicurezza ambientale. Laurea in fisica all’Università di Bologna, ha conseguito un dottorato a Princeton University, è stato ricercatore all’MIT, prima di diventare socio di McKinsey & Company e, successivamente, chief strategy officer di The Nature Conservancy, una delle organizzazioni ambientali più grandi al mondo. È ricercatore associato onorario a Oxford. Il suo ultimo libro Water: A Biography è stato selezionato da The Economist come uno dei migliori libri del 2021. La sua traduzione, Acqua: Una biografia, è edita da Mondadori.