
È importante ricordare che Warburg aveva come retroterra una tradizione culturale familiare che affondava le proprie radici in una concezione ‘illuminista’ della tradizione ebraica (Lessing).
Né possiamo prescindere dall’esperienza che egli aveva ricavato dai suoi importantissimi soggiorni in Italia (a partire dal 1889).
Nomi come Justi, Schmarsow, Thode, Michaelis, Friedländer (Max Jacob), Goldschmidt, Vischer Friedrich Theodor, Burckhardt avevano costituito le stelle polari che avevano solcato la sua riflessione, con le quali si era confrontato continuamente e dalle quali allo stesso tempo si era distanziato.
La sua ricerca appare dunque satura di conoscenze, anche se Warburg tratta le fonti funzionalmente perché, come tutti i grandi studiosi, metabolizza perfino gli autori prediletti (ad esempio Burckhardt) che poi rielabora nel contesto delle sue ricerche.
La sua mente appare prensile, simile a quella di un ragno che tesse una tela lasciando appena abbozzate alcune parti, altre più sviluppate, anche se poi non giunge quasi mai a conclusioni definitive. Tipico in tal senso è il testo della sua mancata abilitazione (tuttora inedito). Come ha notato Fritz Saxl, Warburg ha scritto diverse introduzioni a libri che poi non ha mai finito di elaborare.
Cosa rappresenta, per Warburg, l’Antico?
Saxl è stato il primo a ricondurre la ricerca di Warburg allo studio della sopravvivenza dell’Antico. Ma Warburg non era stato certo il primo ad affrontare questo problema. Tutti i periodi storici si sono confrontati con la ‘rinascita’ dell’Antico, e neppure la specificità del Rinascimento ha esaurito tale questione.
L’Antico assume in Warburg un carattere nuovo perché esso viene inteso non tanto come ‘tradizione’, bensì come la declinazione storicamente determinata di un problema più vasto e profondo, che rimanda all’aspetto costitutivo della percezione e della espressione umane.
Burckhardt, Nietzsche e Usener avevano mostrato a Warburg l’erma bifronte della Antichità. Si trattava non più di concepire l’Antico come una fonte antiquaria, ma alla stregua di un polo, simile ad un vettore. L’Antico non era un fine in sé, né la fonte rispetto alla quale si arrestava la sua riflessione. Per Warburg la cultura non era ‘indivisibile’ ma uno strumento per svelare la radice duplice e tragica della cultura europea. Tale consapevolezza ha angosciato Warburg durante la sua vita provocando continue insoddisfazioni, incertezze e ambivalenze esistenziali: «Talvolta, nella mia veste di storico della psiche, mi sembra, con un riflesso autobiografico, di voler rilevare nel mondo figurativo la schizofrenia dell’Occidente: la ninfa estatica (maniaca) da un lato e la divinità fluviale in lutto (depresso) dall’altro. Due poli tra i quali la persona sensibile cerca nella creazione il suo stile …».
Detto altrimenti: la questione fondamentale per Warburg tendeva ad assumere al fondo una decisa tonalità antropologica poiché riguardava il rapporto tra espressione e i diversi linguaggi che l’uomo usa per oggettivare e trasmettere quello che è il problema costitutivo della sua esistenza, vale a dire quello espressivo, problema che sta appunto a fondamento della civiltà.
Per questo motivo le voci umane possono essere trasformate in discorso a partire anche da documenti non significativi. Esse parlano e sono sempre e fino ad un certo punto intelligibili perché trasmesse dalla tradizione in immagini, conservate nelle pietre, nell’argilla, nel metallo, nelle gemme, nei colori … Nelle parole si condensa l’energia, così come essa è racchiusa anche nel gesto figurato. Le parole sono strumenti che devono essere sempre dilatati (di qui il suo uso particolarissimo della lingua e della sintassi tedesca), poiché la loro funzione estende, amplia la conoscenza. Relazionate, incastonate in una frase specifica le immagini, le parole, gli oggetti (anche quelli più comuni) contribuiscono Warburg a trasmettere attraverso le cosiddette le ‘formulazioni’ l’espressività umana. Così implementato il linguaggio crea una distanza da una storia della cultura che al tempo di Warburg era spesso concepita in modo amebico, in base a rigide periodizzazioni, in modo diacronico o come mera narrazione. Perciò Warburg non ha mai, ad esempio, separato arte e filologia, cercando di cogliere nelle opere d’arte e nei testi una similitudine funzionale.
Di Warburg è celebre la sua Biblioteca: che funzione aveva per lo studioso tedesco?
Ernst Cassirer ha colto perfettamente la relazione tra le ricerche di Warburg e la sua Biblioteca: «Nella sua costruzione e struttura intellettuale, la Biblioteca ha personificato il pensiero dell’unità e della coesione metodica di tutti i campi e di tutte le tendenze della storia intellettuale» Non è forse casuale che la prima pietra della nuova Biblioteca ad Amburgo sia stata posta il 25 agosto 1925, lo stesso giorno 25 anni dopo la morte di Nietzsche.
Ma qual è la caratteristica fondamentale e originaria di questa Biblioteca?
I raggruppamenti dei volumi, sebbene in costante rimaneggiamento da parte di Warburg, erano guidati da quello che il suo fondatore chiamava «la legge del buon vicino», per cui ogni volume doveva essere collocato in modo che si trovasse accanto ai suoi affini. Questa disposizione permetteva allo studioso di suggerire nuove strade di ricerca. Warburg non si stancava mai di modificare questa disposizione. A ogni avanzamento nella sua riflessione, a ogni nuova ipotesi sulla interrelazione dei fatti, corrispondeva ogni volta una riorganizzazione dei libri. La biblioteca mutava a ogni cambiamento dei suoi interessi. Questo atteggiamento corrispondeva alla logica associativa che Warburg cercava di applicare alle sue ricerche (ad esempio alle tavole dell’incompiuto Atlante delle immagini Mnemosyne). A Warburg non interessavano dunque le esigenze o i criteri della biblioteconomia. Definiva la Biblioteca ein Leserfrutterautomat, un automa per far pascere i lettori.
Dotata di una sala di studio costruita in modo ellittico (fatto questo che corrispondeva alle convinzioni di Warburg secondo cui la storia della civiltà è caratterizzata da una polarità di forze) la Biblioteca era costituita da quattro piani.
Il primo era dedicato a ciò che Warburg aveva definito Orientierung, orientamento. Qui erano disposti i libri che riguardavano la questione generale dell’espressione umana e dei simboli, a cui erano connessi i testi di antropologia, della storia delle religioni, della magia, della scienza e della filosofia. Questa disposizione rimandava dunque a ciò che abbiamo accennato in precedenza, vale a dire al problema costitutivo della espressione umana.
Il secondo piano raggruppava i testi relativi alle immagini, vale a dire all’espressione visiva, a cui si riallacciavano i libri di teoria e di storia dell’arte, alla creazione e trasmissione attraverso i secoli delle immagini e infine alla loro sopravvivenza anche nelle forme apparentemente meno artistiche: dalla Baccante antica alla Ninfa fiorentina di Ghirlandaio e alla immagine di una giocatrice di golf.
Il terzo piano era caratterizzato dalla parola (Wort). Qui erano disposti sulle lingue e le letterature antiche, umanistiche e volgari.
Infine, al quarto piano erano disposte le opere sulla storia antica e orientale, alla storiografia e alle forme di vita sociale che Warburg chiamava dromenon, cioè azione.
All’interno di questa divisione per piani vi erano numerose sottosezioni connesse tra loro, spesso da un piano all’altro, dove «i buoni vicini», inclusi gli estratti, di articoli erano a disposizione del lettore.
La Biblioteca conteneva inoltre un archivio di immagini e le collezioni di riviste.
La struttura della Biblioteca può essere definita come un insieme di costellazioni, a condizione di sottolineare il carattere sempre permutabile delle configurazioni ogni volta ottenute. Warburg aveva capito che doveva rinunciare a fissare le immagini come un filosofo deve saper rinunciare a fissare le sue idee.
La Biblioteca era dunque concepita da Warburg sia come una ‘impresa’ sia come un organismo vivente, una struttura polivalente.
Durante i quasi sei anni in cui Warburg era stato costretto ad allontanarsi dalla Biblioteca, i suoi due collaboratori, Fritz Saxl e Gertud Bing, applicarono una piccola ma importante riforma: fu normalizzato il sistema di classificazione ideato da Warburg e da lui rimodellato nel corso degli anni per soddisfare le sue nuove ricerche, passando così da una sistemazione che rispecchiava strettamente la visione del fondatore ad una classificazione più metodica che doveva presentare in una forma più ‘leggibile’ i materiali in modo da aiutare il lettore a procedere dal conosciuto allo sconosciuto.
Com’è noto il 26 ottobre 1929 Warburg scomparve. La sua Biblioteca allora contenente 50.000 volumi fu affidata alla direzione di Saxl. Quattro anni dopo e con 10.000 libri in più e dopo che erano state interpellate altre città (compresa Roma) fu deciso di trasferire la Biblioteca a Londra. Il 12 dicembre 1933 dieci giorni prima che Goebbels diventasse Ministro della Propaganda, due vaporetti (Jessica e Hermia) partirono dal porto di Amburgo con 531 casse di libri, attrezzature, foto e mobili.
Qual è l’eredità di Aby Warburg?
Warburg è stato uno studioso che si è collocato in una posizione quasi sempre ‘marginale’: per scelta, perché dedito alla costruzione della sua Biblioteca, ma anche perché si è posto intenzionalmente in una collocazione eccentrica rispetto alle discipline accademiche. E proprio nella sua reiterata polemica verso quelli che definiva i «guardiani dei confini» si annida il senso profondo della sua stratificata riflessione, simile a un pozzo scavato a cui si può accedere attraverso diverse gallerie: antropologia, arte, linguistica, psicologia. storia delle credenze e dei relativi riti. Non in ultimo la filosofia.
Per questa ragione l’importanza conoscitiva nell’arte può essere compresa solo in relazione a determinati problemi artistici.
D’altra parte, il suo sguardo non si è mai fondato sulle opere d’arte perché egli ha avvertito e intravisto dietro esse grandi energie creative umane e tali energie non sono che le forme eterne dell’espressione dell’essere uomo, della sua passione e del suo destino.
Ogni creazione, indipendentemente dalla sua collocazione diventa leggibile attraverso un linguaggio di cui Warburg ha sempre cercato di penetrarne la struttura e di scoprirne la legalità nascosta. Il suo sguardo non si è mai fermato alla singola opera, né alla forma della rappresentazione, neppure al contenuto di ciò che era raffigurato, ma ha sempre cercato di addentrarsi nelle tensioni energetiche che nell’opera trovano la loro peculiare espressione e il loro ‘scaricamento’. Perciò ha sempre attinto alla sua esperienza più interiore. La sua visione prospettica rimanda agli elementi costitutivi della vita umana. Di qui discendono l’intento di dilatare anche geograficamente i confini di discipline come la storia dell’arte e la sua polemica verso quanti riducono l’arte a un fenomeno meramente stilistico.
Warburg era consapevole di vivere in una società come quella attuale sempre più stratificata e allo stesso tempo capillarmente dispersa, ove ogni tentativo volto a delimitare gli ambiti conoscitivi appariva destinato alla inadeguatezza. Si trattava di una crisi che si riverberava nella loro biografia intellettuale intrecciandosi a una analisi sintomatologica del proprio tempo.
Warburg è ascrivibile nella crisi delle scienze europee, è uno dei sensori di tale crisi. Forse qui risiede la sua grandezza ma anche il monito a quanti oggi sono definiti ricercatori e/o intellettuali.
Maurizio Ghelardi ha curato le raccolte warburghiane Astrologica (Torino 2019) e Fra antropologia e storia dell’arte. Saggi, conferenze, frammenti (Torino 2021). Ha pubblicato una monografia su Burckhardt (Le stanchezze della modernità. Una biografia intellettuale di Jacob Burckhardt, Roma 2016) e una su Warburg (Aby Warburg et la «lutte pour le style», Paris 2016). Tra i suoi ultimi volumi: Friedrich Nietzsche und die Griechische Culturgeschichte von Jacob Burckhardt (Firenze 2021).