
È dedicato al Divin Poeta e alla sua Commedia, quello che Jorge Luis Borges definiva «il più bel libro scritto dagli uomini», A riveder le stelle. Dante, il poeta che inventò l’Italia, il nuovo libro di Aldo Cazzullo, edito da Mondadori.
Il giornalista rilegge il capolavoro del poeta fiorentino, che definisce ‘padre della patria’, perché l’Italia «è nata dalla cultura e dalla bellezza. Dai libri e dagli affreschi. È nata da Dante e dai grandi scrittori venuti dopo di lui: Petrarca, che da piccolo ebbe la fortuna di incontrarlo; Boccaccio, che per primo definì la Commedia «Divina» e la lesse in pubblico.»
«Dante non è soltanto il padre della lingua italiana. Una lingua che si è mantenuta fresca e viva grazie a lui e ai suoi seguaci, anche se per secoli nella vita quotidiana fuori da Firenze non l’ha parlata nessuno […] è anche il padre dell’Italia. Un nome che ripete quasi ossessivamente, fin dal primo canto del suo poema.»
«La Divina Commedia può essere letta come un viaggio in Italia. E anche come un viaggio iniziatico.» E così Dante si accinge a compiere «quello che Bonaventura da Bagnoregio, il successore di san Francesco, ha chiamato nel titolo di un suo libro l’Itinerarium mentis in Deum, il viaggio della mente verso Dio» al termine del quale Dante uscirà nuovamente, nel trentaquattresimo e ultimo canto dell’Inferno, a riveder le stelle: «Con la stessa parola termineranno anche le altre due cantiche, il Purgatorio e il Paradiso: le stelle sono il segno del vero destino dell’uomo, del suo slancio verso l’alto, della sua aspirazione all’ascesa.»
Rivivono dunque nelle parole di Aldo Cazzullo gli episodi immortali della prima cantica dantesca, come l’incontro con Francesca da Rimini – «forse il personaggio più noto della Divina Commedia» – o quello con Ugolino, condannato a morire d’inedia assieme ai figli. Il racconto è drammatico: «Il quarto giorno Gaddo gli si gettò ai piedi, dicendo: «Padre mio, ché non m’aiuti?». Un grido che ricorda quello di Gesù sulla croce: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Gaddo fu il primo a morire. Gli altri caddero uno a uno, tra il quinto e il sesto giorno. Allora il conte perse il controllo di sé, e per due giorni – ormai cieco – brancolò sui corpi dei ragazzi, chiamando i loro nomi, come per risvegliarli. «Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno.»
Da sempre e per sempre si discuterà su quello che sia accaduto «poscia», dopo. Se Dante avesse voluto dirlo esplicitamente, l’avrebbe fatto. Ma non l’ha neanche voluto escludere. Tutte le ultime terzine dell’Inferno, quelle ambientate nel Cocito ghiacciato, sono segnate dall’idea di mangiare, mordere, masticare, rodere. I cronisti del tempo confermano l’ipotesi più terribile: «Si trovò che ’ll’uno mangiò de le carni all’altro». Ma è più importante notare un’altra cosa. Anche il racconto di Ugolino non finisce, resta sospeso. «Più che ’l dolor, poté ’l digiuno» vale il «quel giorno più non vi leggemmo avante» di Francesca. Tutto è lasciato all’immaginazione del lettore».
Certo, «interpretare un poema antico di oltre sette secoli alla luce del presente sarebbe sbagliato. Ma lo sarebbe anche ignorare l’eterna giovinezza della Divina Commedia. La poesia di Dante si rivolge a ogni generazione di lettori, e quindi parla anche di noi, del tempo che ci è dato in sorte. E a ognuno di noi consente di pensare che il peggio sia alle spalle. Che il meglio debba ancora venire, per le nostre vite e per la nostra comunità nazionale, di cui Dante – poeta dell’umanità – può considerarsi il fondatore; perché ci ha dato non soltanto una lingua, ma soprattutto un’idea di noi stessi.»
«Esserne consapevoli, e dimostrarsene all’altezza, sarebbe già una gran cosa»: ed è proprio questo l’augurio che l’autore rivolge ai suoi lettori, al termine del vorticoso viaggio «compiuto inseguendo il genio inquieto di Dante Alighieri, che ci ha lasciati – ma non del tutto – settecento anni fa.»
Un libro, quello di Cazzullo, che rapisce e affabula ma che si riconosce debitore di opere come L’Italia di Dante. Viaggio nel Paese della Commedia di Giulio Ferroni e In cammino con Dante di Franco Nembrini.