“A proposito di Elena” di Giuseppina Norcia

Dott.ssa Giuseppina Norcia, Lei è autrice del libro A proposito di Elena edito da VandA: cosa sappiamo di Elena di Sparta?
A proposito di Elena, Giuseppina NorciaIl Mito greco è per me, da sempre, fonte di ispirazione e materia viva, da narrare e plasmare, per la sua capacità di essere mappa dell’anima e nel contempo – come diceva Kerényi – un tessuto senza orli, che non ha mai fine. I grandi personaggi del mito – pensiamo a Odisseo e Penelope, Agamennone ed Ettore, Achille, Elena… – popolano la nostra immaginazione attraverso i racconti dell’infanzia, le letture scolastiche, la cinematografia, oltre che, naturalmente, le letture personali o gli studi specialistici. Il loro essere patrimonio comune e condiviso nasconde tuttavia un’insidia, alimenta l’illusione di conoscerli, schiacciandoli così nel cliché che li semplifica: l’astuzia e la fedele attesa, il potere e la lealtà, la forza, la bellezza… Credo che accostarsi a loro per narrarne ancora la storia richieda uno sguardo rinnovato, la capacità di ascoltarli come se fosse la prima volta: allora, se poniamo altre domande, il Mito risponderà diversamente rigenerandosi con noi. Cosa sappiamo di Elena? – è stata proprio la prima domanda che mi sono posta, a proposito della regina di Sparta. Sul suo conto si dicono molte cose, storie che si intrecciano e a tratti si contraddicono. Sappiamo che è figlia di Tindaro e Leda, sovrani di Sparta, ma che in realtà è di stirpe divina, generata da Zeus che si unisce in forma di cigno alla bellissima madre. Secondo un’altra versione della storia, Elena sarebbe figlia di Nemesi, divinità legata all’equilibrio del mondo e alla giustizia redistributrice. Così, lungo il sentiero del mito, necessità e bellezza si congiungono. Lei è la sposa di Menelao e l’amata di Paride con cui fugge a Troia, eppure altrove narrarono di una nuvola d’aria, di un eidolon mandato nella rocca di Ilio a seminare morte e inganni, mentre la vera Elena sarebbe stata condotta in Egitto. Due uomini, due città, due Elene complicano la storia specchiandosi gli uni nelle altre. Così, il pensiero dominante in principio era che di Elena non si sapesse niente. Il grande paradosso di Elena, la bella per antonomasia, è che il suo aspetto non sia mai descritto: «Non sappiamo se i suoi capelli siano lisci come la seta o indomabili e crespi, del colore del grano o scuri come la notte. Ditemi, ha qualcosa che la rende unica, qualche amabile imperfezione? Un neo sul labbro, una lieve fessura tra i denti? Come cammina Elena? Ama muovere le mani al ritmo delle sue parole? Nessuno lo sa. Di Elena non si sa niente»

Cosa rende Elena così sfuggente?
Se da un canto “di lei non si sa niente”, si conoscono gli effetti che Elena ha sugli altri. Incantamento. L’indicibile desiderio di possederla per sempre, il piacere, la paura. Lei è la grande disvelatrice, lo specchio dei desideri, ma gli esseri umani non sono sempre all’altezza della verità. Forse, ribaltando la questione, siamo noi a fuggire da lei, a tenerla lontana. È fin troppo facile additarla come causa del conflitto e strumento di perdizione, in quel gioco di specchi che strategicamente devia l’attenzione dai soggetti all’oggetto del desiderio. Attraversando le fonti e la sua storia, ho visto sfarinarsi al suo passaggio, come muri mal costruiti, gli intonaci dei vincoli prestabiliti, delle convenzioni sociali, delle apparenze. Elena mostra la fragilità del cuore umano. Allora, “la soluzione” è tenerla lontana. Nelle Troiane di Euripide Ecuba implora Menelao di ucciderla sapendo che conducendola in nave fino a Sparta non avrebbe saputo resistere al suo fascino; sulle mura di Troia, nell’Iliade, i vecchi la guardano e parlano stridendo come cicale sugli alberi, con voce sottile: “Somiglia alle immortali terribilmente” dicono. “E se è così bella è meglio che se ne vada.” Eppure esiste un’altra Elena, che attende di essere “richiamata dall’esilio”, un’Elena 2.0 che emerge da questa narrazione.

Elena rappresenta l’archetipo femminile, la bellezza assoluta, l’illusione e il pretesto che giustifica la guerra fino a confondersi con la Grecia stessa: qual è la verità su di lei?
Emblema della Bellezza, Elena apparentemente non riabilita il femminile, non si presta a essere un’eroina da imitare, come Antigone o Ifigenia, donne del coraggio e del sacrificio. Così sembrerebbe. Ma andando alle radici della sua storia emerge una straordinaria complessità. Elena è anche una dea a cui sono tributati dei culti, è legata alla natura e agli alberi: «Venerami, sono l’albero di Elena» cantano le sue compagne in uno splendido epitalamio di Teocrito, e nel Platanistàs, il bosco di platani di Sparta, si trovava un tempio a lei dedicato. Sul suo conto si narravano molte storie, si diceva che con la sua sovrumana potenza avesse infuso bellezza a una bambina brutta mutandone l’aspetto e il destino, persino che fosse nata da un uovo disceso dalla luna per compiere la propria missione sulla terra. Nello stesso tempo, sul suo nome si scatena “la guerra delle guerre” e questo la rende il trofeo, “la causa” per chi voglia accusarla, o al contrario la potente disvelatrice per chi desidera coglierne il monito. Lungo il filo di questi pensieri, uno spazio del libro è dedicato a una scrittrice e una filosofa del ‘900 – Virginia Woolf e Simone Weil – alle loro riflessioni volte a disinnescare l’impulso verso la guerra, “l’hitlerismo inconscio” di cui parla Virginia, le parole manipolatrici su cui si sofferma Simone proprio in un saggio intitolato “Non ricominciamo la guerra di Troia”. L’Elena che scatena la guerra è dentro le parole assassine; è sufficiente mettere una maiuscola e, «alla prima occasione, gli uomini spargeranno fiumi di sangue, a furia di ripeterle accumuleranno rovine su rovine». Non c’è una verità, Elena è un personaggio polifonico. Anche in questo consiste la sua bellezza.

Il Suo lavoro ci rimanda ai grandi temi della contemporaneità: l’abuso del corpo delle donne, la propaganda bellica, la bellezza mercificata; chi è oggi Elena?
L’abuso dei corpi delle donne è un tema ricorrente in questo libro perché lo è – seppur meno visitato – nella storia di Elena. C’è un’Elena-Lolita rapita da Teseo che vuole “conoscerla tutta” a soli dodici anni, e un’Elena assediata chiusa nella rocca, non così diversa da Briseide, la ragazza su cui si scatena la contesa tra Achille e Agamennone, o dalle Troiane che saranno deportate dai vincitori. Donne ridotte ad essere un premio, belle da esibire, esaltanti da possedere, con quei corpi da espugnare come fossero città; così il sesso diviene un’espansione del potere e della guerra. Una storia che ancora ci riguarda, se denunciando il genocidio del suo popolo e gli abusi perpetrati dall’Isis alle giovani donne yazide – catturate, vendute, rese schiave sessuali –, la coraggiosa Nadia Murad, nel 2018 Premio Nobel per la Pace, scrive: «Voglio essere l’ultima ragazza al mondo con una storia come la mia». I Satiri al servizio di Polifemo, nel Ciclope di Euripide mettono invece in scena la fantasia punitiva e dominatrice del branco verso la donna accusata d’essere di facili costumi. “Di essersela cercata”. «Dimmi, presa la giovane [Elena], non ve la siete ripassata a turno, visto che a lei piace avere tanti amanti?» dicono a Odisseo. In questa narrazione, purtroppo attualissima, Elena “merita” di essere molestata perché “in fondo le piace”. Per capire non solo chi sia oggi Elena ma cosa voglia e possa dirci, occorre rivolgere lo sguardo e l’attenzione ai luoghi in cui si celebra il suo esilio. Il grande paradosso è vedere Elena esiliata proprio dai luoghi “della bellezza e dell’armonia”: “L’esilio di Elena” è nelle foreste che bruciano. È nei centri storici delle città d’arte svenduti al turismo di massa, nelle cene esclusive organizzate all’ombra di templi antichi. È nelle parole dell’odio, come ha testimoniato di recente la senatrice Liliana Segre, con impegno e coraggio. La mia Elena è umana e divina, è denuncia e insieme speranza, è la bellezza che può salvare il mondo. Quella bellezza che è quintessenza della nostra umanità e chiede finalmente di essere guardata. Per questo desidero cedere il passo alle “sue” parole.

«In questo mondo sono sempre stata un’ospite, la viaggiatrice necessaria, l’inviata dell’altrove: dea, donna, ragazza, regina, cerco l’ultimo fulgore dell’umanità perduta. Lungo il cerchio del tempo ho corso a ritroso per prendervi alle spalle; chi bacerà questo viso imperlato di lacrime? Come un uovo si dischiude il mio ventre gravido di nuove parole… “contemplazione, dignità, amore”. Ascoltate, come un vento, la mia voce. Sono luna, albero, sorgente. Deponete al suolo le armi. Ascoltate. Li sentite i battiti? È la Vita che rinasce».

Giuseppina Norcia, scrittrice, grecista e divulgatrice culturale, cura itinerari, drammaturgie e performance narrative con particolare riferimento al mito e l’anima dei luoghi, a cui ha dedicato progetti e pubblicazioni. Collabora da vent’anni con l’Istituto Nazionale del Dramma Antico (Fondazione INDA), presso la cui Accademia è docente di drammaturgia antica. È autrice di diversi libri fra cui: Siracusa. Dizionario sentimentale di una città (VandA.ePublishing, 2014), tradotto in lingua inglese e francese; Archimede. Una vita geniale (VerbaVolant 2017); I doni degli dei (VerbaVolant, 2017), finalista al Premio Andersen; L’ultima notte di Achille (Castelvecchi, 2018); A proposito di Elena (VandA edizioni 2020).

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