
Nel Suo testo Lei traccia un profilo del mondo tardoromano. Nel V secolo cosa rimane della romanità?
Dipende da cosa si intende per romanità: del resto, il termine Romanitas è attestato per la prima volta agli inizi del III secolo, in un’operetta di Tertulliano, un autore cristiano di Cartagine che usa il termine per definire gli aspetti più superficiali dell’essere romano, come il portare la toga (che Tertulliano volutamente smise di utilizzare, preferendo il pallio del filosofo). Presso le élites, l’identità imperiale romana resta senz’altro un punto fermo, anche in reazione alla tragedia del sacco di Alarico del 410, quando i Visigoti presero l’Urbe dopo un lungo assedio. al tempo stesso, l’identità di Roma persiste, e con essa la civiltà greco-romana (nonostante l’opposizione dei cristiani più oltranzisti), e naturalmente la mirabile complessità del sistema giuridico.
Ma i campioni della Romanitas, rappresentati dai membri dell’aristocrazia senatoria, perdono gradualmente importanza, anche perché la difesa delle tradizioni romane può dar adito a un’accusa di paganesimo. Intanto, con grande scandalo dei conservatori, qualcuno arriva addirittura a vestirsi alla barbara, sfoggiando sulla pubblica piazza capelli lunghi e brache: un effetto collaterale della sempre maggior importanza dei militari, la cui carriera è da tempo separata dalla carriera civile. Oltretutto, un Romano dell’epoca di Augusto avrebbe riconosciuto a stento il proprio esercito, formato da numerosi effettivi e comandanti barbari. Insomma, si capovolge la celebre espressione di Cicerone cedant arma togae (che le armi si ritirino di fronte alla toga).
Certo, molto spesso gli incontri fra popoli erano tragicamente violenti. Alcuni autori contemporanei lamentano la paura dei barbari invasori, e molte regioni dell’Europa occidentale sono ormai occupate da nuovi governanti germanici. Inoltre, il centro del potere si è spostato a est, nella nuova capitale voluta da Costantino. Ma anche Ravenna, la capitale d’Occidente, e la stessa città di Roma riflettono i mutamenti in atto, anzitutto il processo di cristianizzazione.
In mano a chi è il potere?
L’uomo più potente del mondo è l’imperatore Teodosio II, che governa direttamente la parte orientale dell’impero, e indirettamente quella occidentale, dove l’imperatore è Valentiniano III, che è ancora un bambino. Intorno al 428, l’impero sembra infatti recuperare un’unità fattuale, e non solo virtuale, delle due partes, quella orientale e quella occidentale. Ma il potere è detenuto anche dai comandanti militari, che talvolta possono imporre la loro volontà senza peraltro poter usurpare egli stessi il potere imperiali, ormai condizionato dalla legittimità dinastica. Un ruolo fondamentale è poi quello dei vescovi delle principali città del Mediterraneo, e naturalmente dei grandi proprietari terrieri.
Qual è il panorama culturale di un mondo in cui erano già evidenti i segni del tracollo?
Parlerei piuttosto di trasformazione. Il processo ormai avviato di ‘democratizzazione della cultura’ rivela meglio le identità molteplici dell’impero. Se l’impero romano è stato un impero multietnico, l’impero tardoantico ha saputo dar voce alle sue diverse componenti. Nascono nuovi alfabeti e nuove letterature: al siriaco, una variante dell’aramaico che diventa la lingua più popolare dell’Oriente cristiano, si affiancano l’etiopico, il georgiano, l’armeno, ma anche il gotico e più tardi anche il celtico. Contemporaneamente, la produzione letteraria greca e latina mantengono un livello elevato in tutti i generi letterari, a cui si aggiungono notevoli prove da parte di autori cristiani. Né si potrebbe certo parlare di ‘decadenza’ nel campo dell’architettura e delle arti figurative: basti pensare ai mosaici delle domus e delle ville aristocratiche dell’Africa del Nord.