
Con quale criterio avete scelto gli intervistati?
Con un criterio altamente scientifico, ovvero completamente a caso. Beh, non proprio. Io non sono uno storico della fisica, ma mi sono sempre interessato alla vita degli scienziati e quindi ho letto vari libri, tra cui quelli classici di Segrè (personaggi e scoperte della fisica) e Gamow (i trent’anni che sconvolsero la fisica), e inoltre qualche biografia, tipo un paio dedicate alla Curie, quella di Lise Meitner, una o due di Einstein, eccetera. Quindi all’inizio ho cominciato a scrivere le interviste degli scienziati che conoscevo già abbastanza, mentre nel frattempo mi studiavo le vite e le opere di altri. E via via che approfondivo, scoprivo aspetti sconosciuti sia della loro vita che della loro elaborazione scientifica, così che oltre ad aumentare a dismisura il numero degli intervistandi, bisognerebbe richiamare anche quelli già passati per un approfondimento. Sarebbe stato più semplice mettere gli scienziati in ordine cronologico, anche perché le loro ricerche spesso si intrecciano, ma sarebbe venuto fuori qualcosa di molto noioso, oltre a dover prevedere a priori chi avremmo dovuto intervistare.
Su cosa vertono le interviste: solo problemi di fisica teorica o anche vita privata?
Dipende dal personaggio e dalle scoperte. Per cominciare, anche se io sono un fisico teorico, ho scritto interviste anche a sperimentali “puri” tipo Faraday. La fisica è una scienza sperimentale, non è mica matematica. Comunque ci sono personaggi come Marie Skłodowska Curie in cui la vita personale è talmente ricca ed interessante che l’intervista sorvola un po’ sui risultati scientifici. Per altri non ci sono molti spunti interessanti sulla vita, o magari abbiamo dovuto passare più tempo per rendere chiara la loro teoria. Ci sono ovviamente personaggi come Einstein o Feynman che hanno avuto una vita interessante ma anche prodotto scoperte scientifiche notevoli.
Quali, tra i fisici intervistati, hanno dovuto rispondere al maggior numero di domande e perché?
Beh, l’intervista deve avere sempre una durata limitata, circa 10 minuti, il che limita il numero di domande. Da una parte ovviamente tanto più contorta e interessante è stata la vita dello scienziato, tante più domande attira. Ma dobbiamo anche considerare come fare per spiegare una legge fisica in termini radiofonici, senza poter usare diagrammi o immagini. Quindi a volte abbiamo usato l’artificio retorico di far finta che l’intervistatore non capisse la spiegazione, in modo da approfondire l’argomento da vari punti di vista.
Einstein l’abbiamo intervistato tre volte, ma quasi senza parlare della sua vita. Ci sono poi stati i casi di Archimede e Bohr, che sono speciali. Tra le interviste “normali” fatte per RadioMoka, ci sono state alcune dedicate a vari blogger scientifici, tra cui quella a Riccardo Faccini di “Fisicast”. Nel corso della chiacchierata preparatoria, gli abbiamo raccontato delle interviste impossibili. Riccardo ne ha parlato con i suoi collaboratori Gianluca Li Causi, Giovanni Organtini e Giovanni Vittorio Pallottino, tutti bravi divulgatori, che ci hanno commissionato delle versioni “lunghe” delle interviste. Una faticaccia! Ci hanno fatto lavorare finché tutta la spiegazione non fosse diventata semplice e comprensibile, così alla fine nel libro abbiamo messo questa versione.
Quali problemi di fisica restano ancora oggi irrisolti?
La fisica si è espansa tantissimo, ho colleghi che si occupano di cosmologia, particelle elementari, struttura della materia, ma anche beni culturali, medicina, biologia, neuroscienze, quindi i problemi irrisolti non mancano, e certamente io non li conosco tutti. Dal punto di vista della fisica fondamentale, per ora riusciamo a spiegare solo il 5% della materia e dell’energia dell’universo. Poi non sappiamo perché le costanti fisiche hanno esattamente quel valore, e basterebbe che fossero appena diverse e l’universo sarebbe molto diverso. Anche il campo della fisica atomica è molto di frontiera, con la prospettiva di costruire computer quantistici. Sappiamo anche molto poco sulla materia disordinata, i vetri, la materia molle, e in genere su oggetti composti da parecchi atomi, ma non un numero infinito, come le proteine. E poi ovviamente ci sono le neuroscienze, ma anche le scienze cognitive. Io per esempio lavoro con degli psicologi e facciamo esperimenti e modelli psicologici, ma con uno spirito da fisici, ovvero cercando di identificare i meccanismi di base, soprattutto pensando al fatto che ci stiamo trasformando in esseri sempre connessi con un numero enorme di altri individui (e magari anche con macchine), una esperienza veramente nuova per l’uomo.
A chi, tra gli eminenti fisici del passato, Lei avrebbe realmente voluto rivolgere delle domande e quali?
Mi interessano moltissimo i fisici sfigati, quelli che hanno lavorato su un problema interessante ma che per qualche motivo non hanno sfondato. Nel libro per esempio intervistiamo Bose, che è famoso per la statistica della di Bose-Einstein, ma che non ha ricevuto il Nobel, e poi se ne è tornato in India a fare una vita tranquilla. Di lui si sa poco, mi sarebbe piaciuto incontrarlo davvero. Altri fisici che ho “intervistato” recentemente, e che quindi non sono nel libro (ma saranno nel prossimo) sono Ernst Ising e Hugh Everett III. Il primo è conosciuto per il modello che prende il suo nome, su cui vengono pubblicati forse mille lavori all’anno. In realtà il modello è del suo relatore, Lenz, che nessuno conosce. Ma Ising è più interessante. Conclude il suo lavoro di dottorato dicendo “non ho trovato quello che cercavo, quindi il mio modello non serve a nulla”, e se ne va a fare l’insegnante di liceo. Dopo 23 anni incontra uno che gli domanda “ma lei è l’Ising del famosissimo modello di Ising?”. Anche Everett ha una storia simile. Inventa la teoria degli universi paralleli, che permette di dare un quadro coerente alla meccanica quantistica anche se il prezzo da pagare è che noi esistiamo in tante, infinite, realtà. Ne parla con Bohr e altri scienziati famosi, e tutti gli dicono che è una stupidata, e quindi lascia l’università e va a lavorare per i militari americani. Dopo una ventina d’anni, il lavoro viene riscoperto, e parecchi se ne interessano, oltre a essere sfruttato da vari autori di libri e film fantascientifici. Hawking disse che i suoi risultati sono “trivialmente veri”, e cercano di farlo rientrare all’università ma lui muore d’infarto a 51 anni. Almeno nel nostro universo. Visto che Everett era convinto dell’immortalità quantistica, ovvero che si potrebbe sopravvivere per sempre in almeno un universo, e che secondo dei lavori recenti derivati dalle sue teorie ci potrebbe essere una maniera per comunicare tra universi paralleli, non ho perso del tutto la speranza di intervistarlo sul serio.